Alla fine di quest’inizio penso di aver compreso, nei limiti del compreso, sia chiaro, che la didattica a distanza ben si addice a quelli che già la praticavano in presenza. Che non sono i famosi, almeno per me che li frequento senza esserne troppo frequentato, docenti smart appassionati del digitale, ma quelli per cui le distanze esistono da sempre, che parlano agli studenti per ascoltarsi e che pretendono di farlo anche quando a parlare sono gli studenti. Tra questi ci sono gli avvezzi ai webinar, alle AR, VR, IOT, STEAM e compagnia cantante, insieme a quelli seduti alla cattedra a far bla, bla, bla.
Ci sono quelli per cui le tecnologie fanno danni a prescindere e quelli che invece le usano per fare danni.
Poi ci sono i molti che soffrono come me e che provano esattamente questo:
“Purtroppo la didattica a distanza ha stravolto il mio modo di insegnare: ha eliminato la fisicità (non posso più camminare qua e là per l’aula e agitare le braccia per esemplificare un concetto, mi sono rimaste solo le parole e le mie scarsissime abilità grafiche), mi ha obbligato ad una maggiore precisione nelle spiegazioni (non vedendo i miei studenti non posso ricalibrare il tiro man mano che spiego e pertanto devo essere chiarissimo) e mi ha anche inibito un poco nelle battute e negli esempi poco standard che sono solito fare (un conto è fare una battuta o un esempio buffo in aula per far fare una risata, un altro registrare tale amenità e metterla sul web). Mi sono dovuto adattare, come tutti, ad una nuova didattica. A cui sono meno abituato e in cui mi sembra di trascurare la parte fondamentale del mio essere docente: trasmettere l’essenza della mia materia.”
Sono parole di Alberto Saracco docente universitario di matematica a Parma, lette in questo articolo.